È il 9 agosto e ci ritroviamo alla Baita Hermitage, ospiti di Piero Savoye, per fare un po’ di Filosofia in Montagna, dentro il percorso, già iniziato, AL RIFUGIO CON LA FILOSOFIA.

Renzino Cosson, guida emerita del Monte Bianco, ci onora con la sua presenza. È venuto nonostante per lui oggi sia una giornata difficile. Gianfranco, una guida alpina, è caduto in montagna ed è gravissimo all’ospedale di Ginevra. La sua compagna, in cordata con lui, è morta nell’incidente di ascensione.

Quel silenzio che, in altre interviste, Cosson ha evocato, è oggi la sua dimensione.

Mi permetto solo di sottolineare ai presenti quanto abbiamo ascoltato dalla nostra guida nel primo incontro al rifugio, il 5 agosto. Quel giorno, durante il Cafè Philò, abbiamo sfogliato un meraviglioso album fotografico con immagini del massiccio del Bianco, tutte scattate da Renzino con la storica Hasselblad del suo amico Bertone. Giorgio Bertone è morto nel 1977, in un incidente aereo sotto la cima del Mont Blanc de Tacul.

Chiedevo di lui al nostro ospite, gli domandavo anche perché si continui ad andare in montagna, nonostante il pericolo.

Una risposta decisa ci ha riportato e ci riporta al legame stretto tra vita e morte.

Si rischia di morire perché si vuole vivere.

Tutta la vita è ricerca, tensione, sfida, pur dentro le necessarie e intelligenti precauzioni e misure di sicurezza. Dobbiamo evitare i pericoli dei quali siamo avvertiti, come per esempio andare da soli per ghiacciai; eppure tentare l’alto rimane un desiderio forte, umanissimo, legittimo.

Accanto a Renzino è con noi l’altra guida alpina, Arnaud Clavel.

A lui pongo domande che ci aiutino a cogliere il nesso tra montagna e filosofia, tra montagna e orizzonte di senso. Sul senso della vita. Sul senso delle relazioni.

Per iniziare leggo Aristotele, un breve passo dalla Metafisica. Il tema è la meraviglia; di questo avevo già parlato con Arnaud.

Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori (per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli altri astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo).

Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere.

È per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. (Aristotele, La Metafisica A 2 982b)

Prende da qui avvio il nostro dialogo.

Paola. In un messaggio che mi augurava una buona salita al rifugio, in una giornata luminosa, tu mi hai scritto: Che meraviglia!
Rifletto sul fatto che può meravigliarsi davvero solo chi sa guardare. Saper guardare è una dote innata? È qualcosa che si impara?  E se è così, con quali passi?

Arnaud. A meravigliarsi si impara, giorno per giorno. Certamente la natura, qui a Courmayeur, ci aiuta in questo. Mi è piaciuto condividere il pensiero sulla bellezza di quella giornata. La meraviglia è un modo di affrontare l’esistenza in maniera aperta, fluida, positiva. A mio parere è anche condivisibile, comunicabile, è parte dell’amicizia. Per me era bello pensare, quel giorno, che qualcuno potesse godere cielo, montagna, fiori, colori, mentre io stavo al lavoro. Sapere che la bellezza c’è ed è per tutti ti allarga il respiro.

Paola. Quando abbiamo parlato di montagna e di arrampicata, nei giorni scorsi, tu hai usato molto la parola MEDITAZIONE. Allora dicevi che è una parola diversa da PENSIERI. Che cosa intendi?

Arnaud. Quando arrampico, tutto ciò che sta sotto, a valle, non è presente.
Mentre sono sospeso e quindi in equilibrio, il mondo è sospeso e quindi assente.
Mentre sono in gioco con la gravità, meditazione significa concentrazione sull’attimo, sulla perfezione del gesto. Meditazione vuol dire che non esiste niente altro, significa tensione massima sull’azione, presenza totale in uno spazio ed un tempo che sono solo miei, solo per me.
La meditazione svuota dalle preoccupazioni.
Mentre ritrovo l’equilibrio del corpo trovo anche quello della mente.

Una signora dal pubblico. Mi riesce difficile comprendere queste idee. Il pensiero si fa sempre carico del mondo. L’astrazione di cui lei parla significa forse fuga o rifiuto?

Arnaud. Non voglio dire questo. Essere guida significa scegliere gli altri, la cordata, la compagnia. L’arrampicata però è il mio momento, uno stacco da tutto. Quando scendo sono più me stesso, più carico per interagire con gli altri. È questo il senso della meditazione.

Per spiegarmi meglio voglio dire che ciò che mi fa essere me stesso è la completa fusione con la natura. Sono sulla roccia ed io stesso divento parte della roccia, un insieme unico. Questa sensazione si può provare in altri spazi, per esempio nel mare, con un tuffo, un’immersione. Sono acqua, divento acqua: l’essere parte del tutto mi ricrea.

Un signore dal pubblico. Credo di capire a che cosa lei alluda, Arnaud. Ognuno di noi ha bisogno di un salto, non per fuggire, ma per tornare ricco di energia. Trovare il modo per staccare è rinvenire la possibilità di conoscersi a fondo, rasserenarsi. Ognuno di noi deve cercare questo privilegio; un privilegio che in realtà dovrebbe essere naturalità, normalità.

Io sono appassionato di musica e stare con un brano musicale mi permette di fare ciò che lei dice. Mi fondo con le note, mi sento in unione con l’artista, evado dal mondo. Non si tratta di un rifiuto, ma di uno spazio di creazione e di nuova forza.

Paola. Vorrei tornare su alcune delle nostre parole. Ha avuto spazio, nel nostro dialogo, il tema dell’altro. La guida di montagna sceglie di camminare con gli altri. Perché lo fa?

Arnaud. Arrampico da solo o con un amico, ma come guida di ascensioni scelgo sempre un piccolo gruppo. Quando guido qualcuno in montagna sento profondamente la responsabilità. Forse la parola più esatta è proprio questa, mi sento responsabile. Lo faccio volentieri, nella logica di cui parlavo prima, per diffondere la passione per i monti, convinto che comunicare la meraviglia sia un atto importante, che ci rende capaci di nuovi inizi.

Oggi pensiamo al nostro compagno Gianfranco come responsabile.  Non sappiamo che cosa sia successo nell’incidente, ma la deontologia è questa: qualunque cosa accada, tu stai con chi sale con te. Immaginare di salvarsi da solo, per esempio, è del tutto inconcepibile. È una questione di serietà e non solo. C’è in gioco il modo in cui tu pensi l’umanità, dell’altro e tua.

Paola. Per chi va in montagna (e anche per chi vive la vita nella sua quotidianità) c’è sempre il dubbio sulla strada da percorrere. È meglio perseverare ed essere un po’ ostinati, oppure cambiare strada quando arrivano i primi dubbi?

Arnaud. Non vorrei rispondere in astratto. La mia esperienza è quella di considerare ogni volta con attenzione il singolo momento, la singola impresa.  Rispetto al percorso e alla decisione di continuare oppure no pesano i motivi che sono in gioco, le possibilità concrete. Ho già parlato di equilibrio e non vorrei rifugiarmi in un luogo comune, però è così: è proprio una questione di misurazione.  L’equilibrio, come scelta ponderata e valutazione delle ragioni, è la sostanza del mestiere di guida e anche del mestiere di vivere.